
, 20/12/2013 08:45
Mentre sto scrivendo questo articolo sta per iniziare la discussione e la votazione alla Camera dei Deputati della Legge di Stabilità 2014, all'interno della quale compare la cosiddetta "Web Tax". In queste ultime settimane se ne è parlato molto, chi a favore del testo normativo presentato (realtà come SIAE, ANICA, CGIL), altri contrari (Confindustria in primis). Per capire meglio vediamo direttamente il testo in fase di votazione, quello per cui il governo ha chiesto la fiducia.
17-ter. Al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, dopo l'articolo 17 è inserito il seguente: «Art. 17-bis – 1. I soggetti passivi che intendano acquistare servizi di pubblicità e link sponsorizzati on line, anche attraverso centri media e operatori terzi, sono obbligati ad acquistarli da soggetti titolari di una partita IVA rilasciata dall'amministrazione finanziaria italiana. 2. Gli spazi pubblicitari on line e i link sponsorizzati che appaiono nelle pagine dei risultati dei motori di ricerca (servizi di search advertising), visualizzabili sul territorio italiano durante la visita di un sito internet o la fruizione di un servizio on line attraverso rete fissa o rete e dispositivi mobili, devono essere acquistati esclusivamente attraverso soggetti, quali editori, concessionarie pubblicitarie, motori di ricerca o altro operatore pubblicitario, titolari di partita IVA rilasciata dall'amministrazione finanziaria italiana. La presente disposizione si applica anche nel caso in cui l'operazione di compravendita sia stata effettuata mediante centri media, operatori terzi e soggetti inserzionisti».Cosa contiene di abominevole tale proposta? Semplice, è formulata da chi probabilmente non ha conoscenza del funzionamento della rete e che propone tale norma per finalità prettamente fiscali, sbagliando però obiettivo e arma. Si utilizzano diciture come "spazi pubblicitari on line" (che significa? anche una pagina Web è uno spazio pubblicitario on line) legate a "visualizzabili sul territorio italiano" (gli unici siti web al mondo non visibili sul territorio italiano sono quelli censurati dai regimi e/o considerati illegali per gioco on line dall'AAMS), indicare "attraverso rete fissa o rete e dispositivi mobili" (dimenticandosi che esiste pure la connessione internet via satellite, che non rientra nel concetto di rete fissa e nemmeno dispositivi mobili). Non voglio soffermarmi sull'assurdità (presumo che ci penserà l'Unione Europea che già ha posto forti dubbi in materia), quanto sul fatto che per l'ennesima volta si è normato usando terminologie e strumenti inidonei. Leggiamo bene il comma 2. Mettiamoci nei panni di un piccolo albergatore della Transilvania che vuole effettuare attività di promozione di un hotel all'interno di Google oppure - come sempre più spesso accade - all'interno di Facebook con destinatari utenti italiani. Secondo gli autori del comma 2, questo utente, pur non avendo alcuna attività in Italia, ma semplicemente volendo fare pubblicità Web che raggiunge l'Italia, dovrebbe farsi fatturare il servizio da Facebook e/o Google Italia (se mai Facebook Italia apriranno una partita IVA per fare tali attività). Facciamo un altro esempio: un hotel italiano intende promuovere le proprie attività in Transilvania, in siti Web turistici locali. Con questa norma non può contattare direttamente il portale e, visto che redditualmente è sito in Transilvania, farsi emettere fattura in quanto quel sito Web non è visibile solo in Transilvania (sic!) ma - miracolo della tecnologia - in tutto il mondo, quindi anche in Italia, e quindi soggetto al comma 2. Pensiamo che nel 2015 avremo EXPO2015, e rendiamoci quindi conto dell'impatto di questa norma a mio avviso scritta con i piedi, ovvero per la finalità di portare la tassazione in ambito nazionale di grossi gruppi multinazionali, si crea un danno soprattutto all'ambito nazionale, alle piccole e medie imprese che tramite la rete cercano sbocchi per la promozione delle proprie attività. Dall'entrata in vigore potranno farlo solamente tramite società di pubblicità italiane, ovvero incrementando il costo delle spese promozionali per pura marchetta legislativa. Non per nulla la norma viene plaudita da tutte le realtà che - direttamente o indirettamente - vivono di "parassitaggio digitale" ovvero, stile sceriffo di Nottingham, passano per prendere l'obolo. Mica finisce qui. Sempre in questa legge altra chicca:
119-bis. Ferma restando l'applicazione delle disposizioni in materia di stabile organizzazione d'impresa di cui all'articolo 162 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, ai fini della determinazione del reddito di impresa relativo alle operazioni di cui all'articolo 110, comma 7, del medesimo testo unico, le società che operano nel settore della raccolta di pubblicità on-line e dei servizi ad essa ausiliari sono tenute a utilizzare indicatori di profitto diversi da quelli applicabili ai costi sostenuti per lo svolgimento della propria attività, fatto salvo il ricorso alla procedura di ruling di standard internazionale di cui all'articolo 8 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326. 119-ter. L'acquisto di servizi di pubblicità on-line e di servizi ad essa ausiliari deve essere effettuato esclusivamente mediante bonifico bancario o postale dal quale devono risultare anche i dati identificativi del beneficiario, ovvero con altri strumenti di pagamento idonei a consentire la piena tracciabilità delle operazioni e a veicolare la partita IVA del beneficiario. Con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate, sentite le associazioni di categoria degli operatori finanziari, sono stabilite le modalità di trasmissione all'Agenzia delle entrate, in via telematica, delle informazioni necessarie per l'effettuazione dei controlli. 119-quater. Le maggiori entrate derivanti dai commi 97, 119-bis e 119-ter, pari complessivamente a 237,5 milioni di euro per l'anno 2014, a 191,7 milioni di euro per l'anno 2015, a 201 milioni di euro per l'anno 2016 e a 104,1 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017, affluiscono al Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307.Anche qui, si comprende che la finalità è prettamente di "ipotesi di maggiori entrate", con una serie di numeri che servono esclusivamente a bilanciare eventuali spese, un po' come è successo negli anni passati con le stime di recupero evasione fiscale che hanno portato alla situazione attuale con necessità di interventi successivi viste le sovrastime. Su tutto, a parte l'amenità di definire forme di pagamento come bonifico bancario o postale per il pagamento della pubblicità on line e sulla delega al Direttore dell'Agenzia Entrate di definire una sorta di "indice" per effettuare i controlli (sic!), è necessario chiarire (cosa che la norma non fa) cos'è la pubblicità on line e dove termina tale applicazione. Ciò che è certo è che con questa versione del testo non si vanno a colpire grandi gruppi che forniscono prodotti digitali "visualizzabili in Italia". Premesso che sono contrario a queste tipologie di tassazione, che richiedono concertazione a livello europeo, concludo con una domand: perché una pubblicità on line (rientrano i siti Web? Chi lo sa?) deve pagare mentre un prodotto software fornito come servizio (cloud e non solo) non deve pagare? Anche questa è discriminazione, chiaramente voluta. [caption id="attachment_2007" align="aligncenter" width="419"]
