IWA Italy - International Web Association Italia


Roberto Scano , 26/06/2013 08:31
Nelle passate settimane ho avuto modo assieme ad altri di criticare l'iniziativa di AGCOM di bavaglio alla rete, in particolare di criticare la presa di iniziativa del presidente dell'autorità in relazione al fatto di normare qualcosa di competenza del parlamento. In queste ultime settimane il parlamento invece non sta dando una buona impressione di comprendere le tematiche inerenti la rete. Partiamo innanzitutto dal "decreto del fare", ora in discussione alla Camera, per il quale come associazione abbiamo aperto (come già fatto per il decreto crescita 2) una richiesta pubblica di commenti per elaborare emendamenti liberamente presentabili dai parlamentari di qualsiasi schieramento. In questo decreto spicca l'art. 10, relativo alla tematica del cosiddetto "wifi libero".

Art. 10 (Liberalizzazione dell'allacciamento dei terminali di comunicazione alle interfacce della rete pubblica)

1. L'offerta di accesso ad internet al pubblico è libera e non richiede la identificazione personale degli utilizzatori. Resta fermo l’obbligo del gestore di garantire la tracciabilità del collegamento (MAC address). 2. La registrazione della traccia delle sessioni, ove non associata all’identità dell’utilizzatore, non costituisce trattamento di dati personali e non richiede adempimenti giuridici. Se l’offerta di accesso ad internet non costituisce l'attività commerciale prevalente del gestore, non trovano applicazione l’articolo 25 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 e l’articolo 7 del decreto legge 27 luglio 2005 , n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155. 3. Al decreto legislativo 26 ottobre 2010, n. 198, sono apportate le seguenti modificazioni:
  1. l’articolo 2 è soppresso;

  2. all’articolo 3 il comma 2 è sostituito dal seguente: “2. Il decreto del Ministro delle poste e telecomunicazioni 23 maggio 1992, n. 314, è abrogato”.

Ottimo il comma 3, opera del buon Stefano Quintarelli, che rimuove la sanzionabilità dell'installazione autonoma di apparati di rete (per intenderci, sino all'entrata in vigore del decreto nessuno poteva installarsi autonomamente un router, pena sanzione da 30 mila euro). Invece ho forti dubbi dei primi due commi, anche a seguito della conferenza stampa del ministro Zanonato. [youtube http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=BEvToyRVkMM] Mi chiedo soprattutto che origine abbia la proposta del MAC address, visto che si tratta di un "codice" che può essere facilmente modificato con semplici applicazioni (o comunque aggirato con l'acquisto di semplici periferiche wifi al supermercato sotto casa), rendendo più difficoltose le attività giudiziarie. Il documento preparatorio dei lavori alla Camera "vende" l'articolo come segue:
[...]La norma interviene quindi per rendere libero l’accesso ad internet tramite rete wi-fi, nella consapevolezza che la necessaria sicurezza è già garantita dal tracciamento di tutte le sessioni di navigazione con l’identificativo (automatico) del portatile, del tablet o del cellulare utilizzati (MAC address). Il gestore del servizio wireless dovrà garantire la tracciabilità del collegamento. La registrazione, effettuata sul luogo o in remoto tramite altri operatori, ove non associata all’identità dell’utilizzatore non costituirà, peraltro, trattamento di dati personali e, pertanto, non richiederà particolari adempimenti giuridici. La nuova disciplina si applica indifferentemente ai soggetti privati (associazioni e circoli privati, negozi, bar, alberghi, etc.) e pubblici (enti locali, scuole ed università, nodi e servizi di trasporto pubblici, biblioteche di enti pubblici etc.). Contestualmente si precisa che i soggetti che offrano connettività in ambito pubblico, senza che tale attività costituisca il proprio business prevalente, non sono tenuti né a dotarsi della prevista licenza ministeriale né ad ottenere l’autorizzazione generale prevista dal « decreto Pisanu ».[...]
Per un approfondimento rimando all'ottimo articolo di Francesco Paolo Micozzi. Sempre a livello parlamentare torna lo spettro delle proposte di legge  "ammazza blog" con la proposta di legge n. 1165, d'iniziativa dei Deputati DAMBRUOSO, CARUSO, ANTIMO CESARO, GALGANO, GIGLI, MARAZZITI, MAZZIOTTI DI CELSO, MOLEA, NISSOLI, RABINO, ANDREA ROMANO, ROSSI, SCHIRÒ PLANETA, VARGIU, dal titolo "Modifiche alla legge 8 febbraio 1948, n. 47, al testo unico di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, e al codice penale, in materia di reati commessi con il mezzo della stampa o delle trasmissioni radiotelevisive o con altri mezzi di diffusione, nonché di diffamazione e di ingiuria", presentata il 6 giugno 2013. Nel documento descrittivo, si nota la seguente perla, sulle modalità di rettifica nei siti Web (identificati come "blog"):
Si prevede, quindi, l’aggiunta di un titolo standard che indichi l’articolo cui la rettifica si riferisce, la data di pubblicazione e l’autore, e si precisa che la rettifica deve avere lo stesso rilievo e la stessa collocazione della notizia diffamatoria, deve essere pubblicata nella sua interezza e, per quanto attiene ai blog, deve essere riportata in testa di pagina, prima dell’articolo che ne forma oggetto. D’altronde, chiunque abbia frequentazione e conoscenza delle dinamiche di lettura online sa che le pagine internet vengono lette prevalentemente nella parte iniziale. Peraltro la schermata internet può avere una estensione rilevante – persino di svariate pagine – quindi la mancata specificazione del punto esatto in cui la rettifica deve essere inserita rischia di lasciare ampia discrezionalità nella sua collocazione, con un ulteriore danno per chi ne ha chiesto la pubblicazione.
E su tale linea è la proposta di legge:
Per i siti informatici, ivi compresi i blog, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate entro quarantotto ore dalla richiesta, in testa alla pagina, prima del corpo dell’articolo, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono »
A questo punto vorrei capire come, nel caso di un commento "diffamatorio" all'interno di un blog, lo stesso possa essere pubblicato in testa alla pagina, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono". E, passando al mondo reale, se tale reato avviene tramite Facebook - ovvero un "sito informatico" (pubblicazione in una nota) che deve fare l'utente? Chiedere a Facebook di pubblicarlo subito dopo la testata altrimenti è soggetto a sanzionabilità? E in tal caso a chi si applica la sanzione, a Facebook? E se ciò avviene in un video di YouTube? Oppure in un tweet? Mi viene il dubbio che chi ha proposto questo testo non rientra tra "chiunque abbia frequentazione e conoscenza delle dinamiche di lettura online" citato in precedenza. Torniamo sempre al punto di partenza: un parlamentare non può essere un tuttologo e su tematiche specifiche deve chiedere supporto a chi ha competenza in materia in quanto, specialmente in rete, troverà senz'altro persone, associazioni, gruppi disposti ad aiutare a migliorare il documento. In questo caso poi si sta copiando qualcosa di già "bocciato" negli anni precedenti, quindi si tratta di perseverare nell'ignoranza del mezzo che si vuole normare.

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